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30 Hammer, 1362 DR – La pergamena dell’Antico Dio Elementale

Al principio il Grande Ao pianificò il mondo: Abeir-Toril. Non potendo modellarlo dal nulla con le sue sole forze, chiese aiuto al fratello, l’Antico Dio Elementale. Questi ordinò i quattro piani Elementali in modo che racchiudessero uno spazio finito, che fu chiamato Piano Materiale. Poiché gli elementi non interferissero col Piano Materiale, egli li separò con una sottile guaina, il piano Etereo.
Aria, Fuoco, Terra e Acqua si mescolarono in giuste quantità, per mano di Ao, nel Piano Materiale. Lì lasciò liberi di camminare i suoi figli, gli dei. A ciascuno di loro assegnò un dominio, secondo le loro attitudini.
La creazione di Ao, però, era così perfetta che suscitò le invidie del Dio Elementale. Il dominio andava condiviso, rivendicò. Ao acconsentì, ma vide che le opere del fratello erano malvagie. L’Antico Dio Elementale indossava un potente artefatto, che amplificava il suo volere. Tramite la corona sobillò cupi pensieri nelle menti degli dei, allora ancora giovani, avvelenando per sempre il loro spirito. Li unì, coercendo il loro volere ad un giuramento di fedeltà.
Allora Ao non poté più rimanere a guardare. Convocò i figli che ancora gli erano fedeli e dichiarò guerra al fratello. Il confronto non fu privo di cocenti sconfitte, ma infine Ao prevalse. Quando la sua lunga lancia trafisse il corpo dell’Antico Dio Elementale, esso si sbriciolò in mille frammenti, che piombarono su Abeir-Toril, causando ogni sorta di calamità. Tali furono i cataclismi che afflissero il creato, da costringere gli dei a ritirarsi sui Piani Esterni.
Col passare delle ere geologiche, Ao riprese il controllo degli elementi, perdonò i figli che l’avevano combattuto, e ripristinò l’equilibrio. Dalle loro nuove dimore, gli dei  parteciparono alla creazione del mondo.
Ciò che rimaneva dell’Antico Dio Elementale, la sua essenza più autentica, fu rinchiusa in una prigione. All’ultimo momento, tuttavia, quando il catenaccio finale stava per essere posto, le chiavi che potevano liberarlo o sigillare il suo sarcofago per l’eternità furono trafugate. Allo stesso modo andò perso il copricapo del Dio, la Corona del Comando.
Di una e delle altre nessun uomo sentì più parlare, fino a che anche del dio stesso non si perdette tradizione e memoria. Continua a leggere 30 Hammer, 1362 DR – La pergamena dell’Antico Dio Elementale

29 Hammer, 1362 DR – Pembreg l’antiquario

Qualsiasi giro avesse fatto, passando di mano in mano, Oolachrithon li aveva assicurati di una cosa: la preziosa pergamena sull’Antico Dio Elementale era finita nel negozio di un rinomato “antiquario” locale, un certo Pembreg.
«Ma di quale antiquario va parlando quel polpo troppo cresciuto?» si lamentò Dirnal, «A Mirabar siamo abituati a chiamare le cose col loro nome. Se possiede merce rubata, si tratta di un ricettatore. Mi sbaglio, caro Malcolm?»
Mmmh, la vecchia barba ha proprio preso in simpatia il ragazzo, pensò Imong.
Malcolm aveva acconsentito ad accompagnarli al negozio in questione, a patto che gli avessero fornito notizie di Zeke, non appena questi si fosse fatto vivo: «Mi rincresce che forma e sostanza non siano esplicitate come desidererebbe, signor Blackshield. Le interesserà sapere che questi concetti non sono distinti a Erelhei Cinlu. Possedere merce rubata è lecito, a patto che il suo precedente possessore non possa rivendicarla. Certi diritti, compreso quello di proprietà, si devono poter difendere –  anche a costo della propria vita -, prima ancora di essere reclamati.» Continua a leggere 29 Hammer, 1362 DR – Pembreg l’antiquario

29 Hammer, 1362 DR – Il canto dei ladri

Imong passò la notte in bianco. Avrebbe dormito come si suol dire con un occhio aperto, ma essendo orbo non gli rimaneva che vegliare con quello buono e ripassare gli eventi più recenti. Rimuginava su tutta quella storia: avevano viaggiato fino a Erelhei Cinlu con l’intento di scoprire che fine avesse fatto la Corona del Comando, ma appena arrivati c’era stata la triste sorpresa di trovare la testa di Alarshan conficcata su di un palo. Il gigante delle nuvole era stato un fine politico in vita. Era stato tradito? Aveva sbagliato la sua collocazione nel sottile gioco di alleanze, che sembrava il filo conduttore delle loro vicende? Se aveva fatto una così misera fine, chi l’aveva incastrato aveva grandi poteri, oltre ad essere altrettanto scaltro. Ma non era solo quello a preoccuparlo. Zeke, Ebeadat e Halfgrimur non si erano presentati al Prataiolo Coronato, nemmeno al rientro dall’incontro con Oolachrithon. Non avevano notizie nemmeno di Derinnil, che nei loro piani era il lasciapassare ad almeno una delle casate dominanti in città. E se Dirnal dormiva placido accanto a lui, tranquillo come non l’aveva mai veduto, scarico per qualche ora dal peso di Whelm, non poteva dire lo stesso per sé. Non si sentiva affatto sicuro in quella locanda.

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28 Hammer, 1362 DR – Il bazar di Oolachrithon

Immersa in un perenne crepuscolo psichedelico, Erelhei Cinlu non dormiva mai. Superato il momento di stupore per quel crocevia di razze e mostruosità, iniziava per i Cercatori una fase di difficile adattamento. I mesi di viaggio in solitaria non giovavano. Alcuni di loro erano infastiditi dal costante brulichio che caratterizzava le strade e le piazzette; saltuariamente si appartavano in attesa che la claustrofobica sensazione di oppressione si attenuasse. Poi però si mischiavano all’onda di follia che guidava il rumoroso circo della notte. Omicidi e regolamenti di conti, il consumo di sostanze tossiche e l’abuso di magia, avvenivano nel bel mezzo della folla, senza provocare alcun stupore o sgomento. Anzi, spesso il tetro teatro della natura umana era motivo di divertimento per i passanti.

Il ghetto degli eruditi era adiacente a quello degli stranieri. La contiguità era uno dei motivi della sua popolarità, l’altro era dovuto all’unicità delle sue vetrine, dove erano esposti oggetti difficilmente reperibili persino a Waterdeep.

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28 Hammer, 1362 DR – Il Prataiolo Coronato

Con un pesante tonfo il corpo del troll colpì il terreno del Prataiolo Coronato, esanime.
La locanda si riempì degli apprezzamenti inneggianti al nano. Jinock il troll era una leggenda a Erelhei Cinlu. Imbattuto da ben trentuno incontri, mangiava ora la polvere affondato da un preciso destro al mento che gli aveva rotto la mandibola. Gli sguardi erano tutti per il mirabariano.
«Proprio un bel modo… di mantenere un basso profilo» si lamentò Imong, reggendosi sconsolato la testa tra le mani.
Il suo commento sembrò scivolare addosso a Fafnir e Iskra che, entusiasti, saltavano e battevano le mani «Fantastico, fantastico!».
Anche Sayarathy si era emozionata a giudicare dal colore acceso che avevano assunto le squame «Yrrrk, fui, fui!»
«Oh, oh, oh, niente male per davvero per un vecchio nano » rise Dirnal rientrando tronfio al tavolo, «Così però esagerate! Mi mettete in imbarazzo…» Continua a leggere 28 Hammer, 1362 DR – Il Prataiolo Coronato

28 Hammer, 1362 DR – Casa Tormtor

«Il tempo passa veloce in tua compagnia.»
Forse quell’apprezzamento era il massimo che Stavros avrebbe mai ottenuto da un elfo scuro. Nudo, sotto le lenzuola di seta, osservava il suo amante rivestirsi «Te ne vai?».
«Lo sai.»
«So cosa?»
«Che Verdaeth non è contenta di sapermi con i N-Tel-Quess (ndr. I non elfi, in elfico)».
Già, la sorella maggiore del suo amante non lo apprezzava, e Beshaba (ndr. la dea della Sfortuna, sorella di Tymora) aveva voluto che fosse proprio lei la matrona della casata. Lo mise a fuoco meglio: Jhaamdath Tormtor aveva un viso da ragazzo perennemente accigliato, ammorbato com’era dai suoi doveri. Portava i capelli sciolti fino alle scapole; possedeva un fisico asciutto e la muscolatura flessuosa dei gatti, cosa che lo faceva apparire più alto della sua statura. Ma era stato lo sguardo di ghiaccio a conquistare Stavros. Come si poteva descrivere un essere come quello, dal portamento nobile e dallo sfrontato disprezzo per la vita? Eppure era proprio la spietatezza, quella capacità di distribuire tranquillamente la morte, che li accomunava. Come in un gioco, quel potere sulle altre creature viventi lo divertiva. Solo il contatto dei loro corpi riusciva a intorpidire l’istinto della caccia, dell’oltraggio e dell’eccesso.
«Togliamola di mezzo, allora.»
Jhaamdath lo squadrò senza espressione. Erano parole sufficienti per condannarlo a morte. Una sentenza immediata e senza appello. Lo stocco era lì, a pochi passi dal drow. Bastava un gesto veloce per trafiggerlo. «Parli troppo» l’elfo si avvicinò alla porta. Fece per aprirla, ma indugiò un attimo «Ah, quel bizzarro straniero che abbiamo conosciuto ieri notte» fu come un lampo, il succo di funghi l’avevano annebbiato a tal punto da rimuovere il ricordo del chiassoso umano incontrato nel ghetto degli artisti, «Dorme al piano di sotto. Puzza e russa come un troglodita. Occupatene tu. Quando torno non voglio più vederlo».

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17 Hammer, 1362 DR – Il mestiere del tombarolo

Il giorno in cui le tenebre della notte non appariranno più spaventose, quello sarà il giorno in cui il Signore delle Ossa – Myrkul – si presenterà al nostro cospetto. Allungherà la mano scheletrica e accarezzerà ciò che rimane delle spoglie mortali. Quindi ordinerà ai suoi servitori di sollevarle e indicherà la via per l’Ade. E le eterne ombre sembreranno un comodo guanciale, rispetto alla sofferenza mortale. I ricordi, quelli tuttavia sbiadiranno lentamente. Talvolta occorre il tempo di dieci vite a cancellare il volto dei genitori, degli amanti. Per i figli il processo è ancora più lento. Il ricordo rende ossessioni le creature che sono ancora in vita e così la disperazione può assalire le anime troppo legate agli affetti terreni. Sono quelle le anime più soggette alla Trama, disposte a tutto pur di tornare indietro. Risalgono fino al Piano Negativo, sfuggendo ai Guardiani. Da lì osservano i vivi con invidia. Incapaci di passare la barriera che divide la Vita dalla Morte, attendono la chiamata di qualche negromante illudendosi che un corpo disfatto rappresenti una seconda possibilità, col quale riparare agli errori commessi durante l’esistenza. Finiscono allora in catene ancora più penose, vincolati al giogo della volontà altrui. Così la disperazione ci rende schiavi.” – Maestro Kloi di Tyr.

Zeke pasteggiava tranquillamente vicino al focolare, l’elfa scura a pochi passi legata alla catena. Era una tipica scena di guerra: il conquistatore e il suo bottino. Stretto nel mantello di ossa, la posa del capitano dei dragoni bianchi aveva ben poco a che vedere con la marzialità di un addestramento militare: la barba lunga alla maniera dei barbari del Nord, la capigliatura disordinata e lo sguardo perso nel vuoto davano l’idea di una pacata trasandatezza. A ben vedere, assomigliava a un maturo mastino compiaciuto del proprio osso. Continua a leggere 17 Hammer, 1362 DR – Il mestiere del tombarolo

14 Hammer, 1362 DR – Grigliata fuori stagione

«Davvero sto bene, Imong? Non vorrei offendere il magnanimo Va-Guulgh e la sua ospitale gente» chiese Dirnal, osservando il piumaggio con le quali gli indaffarati kuo-toa gli stavano adornando elmo e armatura «Sono commosso e onorato di poter officiare assieme ai suoi sacerdoti la festa della dea. Noi nani, ammetto, non siamo così ospitali. Siamo partiti prevenuti, c’è molto da imparare da questa gente.»
«Non ti… preoccupare, stai benissimo. Non pensavo il fucsia ti donasse… tanto» Imong si era rifiutato di spiegare il vero ruolo che gli uomini pesce avevano riservato al suo amico. Conoscendo l’orgoglio del nano, era molto meglio proseguire con quella farsa. Se gli avesse rivelato che l’avevano truccato come un pagliaccio, e coperto di boa di piume di qualche variopinto fagiano sotterraneo, poiché toccava a lui divertire la platea, sarebbe sicuramente montato su tutte le furie. Quindi optò per l’inganno anche quando l’amico fu aggregato al corpo di ballo kuo-toa, se così poteva essere definito quell’accozzaglia di balenottere hippie «Ecco le sacre… sacerdotesse di Blibdoolpoolp!». Dazaen era incredulo alla definizione appena partorita dal tombarolo.

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12 Hammer, 1362 DR – Lost in translation

«Ammetto che nemmeno le mie capacità divinatorie sarebbero riuscite a prevedere tutto questo» Dazaen era basito, ma ancor più incuriosito – forse infastidito – dalla moltitudine di possibilità che il futuro riservava: una miriade di porte, porticine e pertugi, un’infinità di destini e variabili alle quali, temette, non vi fosse fine o, peggio, capo né coda. Fu il dubbio di un momento. Certo che c’era un modo per prevedere e ordinare quel caos! Una sfida ardua, ma possibile. L’errore stava nell’assunto, nell’origine della cogitazione: i suoi ragionamenti erano troppo logici e raziocinanti per essere traslati su esseri così basici e ottenebrati dalle emozioni e dall’istinto. Era comunque quello il metodo scientifico al quale si aggrappava nel momento della necessità, e bisognava tenerne conto. Dire che il divenire fosse in continuo movimento era un’affermazione lapalissiana: era sufficiente osservare la scena alla quale stava assistendo per realizzare come, e quanto, dovesse rivedere le proprie teorie. Del resto, come si poteva spiegare altrimenti il fatto che, ad un passo dal sostenere in prima persona – certo sarebbe venuto con lui anche Klaus, ma importava realmente? – la prova di purificazione della dea Blibdoolpoolp, il gruppo si fosse improvvisamente frantumato in due cordoni.

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 12 Hammer, 1362 DR – Corri Fafnir, corri!

Fafnir imboccò un ampio corridoio dell’ala est. Spronato da una voce nella mente – una delle tante che fin da bambino aveva accolto dentro di lui – avanzava impaziente: “Di qua, amico, presto… ihssss. No, non ti preoccupare, le guardie dei kuo-toa non possono vederti, sto schermando i loro occhi. Nessuno ti può vedere… ohssss. Sì, dritto, poi sinistra, non è la prima vasca che ci interessa, e nemmeno quella successiva. La terza!… ihsss. Ci sei quasi… ohsss. Bene. Non ti preoccupare, ci sono io con te…” A prenderlo per mano era il mind flayer. Da qualche tempo si era sostituito a Feniar, che a sua volta aveva preso il posto di Doresain. Era fortunato, il guerramago, c’era sempre qualcuno a coprirgli le spalle, a consigliarlo. Il padre non l’aveva forse amato quanto gli altri figli partoriti dalla legittima consorte, tuttavia il destino gli aveva riservato una moltitudine di padri putativi, che si erano alternati nella sua educazione. Il primo era stato Vangerdahast: il capo del suo ordine l’aveva contattato telepaticamente che era solo un bambino e l’aveva istruito sull’Arte, spiegandogli come in lui Mystra parlasse il linguaggio dei Magister.

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12 Hammer, 1362 DR – Adoro i piani ben riusciti!

Entrare nel santuario di Blibdoolpoolp fu come tuffarsi nell’acqua salata del Mare delle Stelle Cadute e nuotare in apnea scrutandone i fondali. Un senso di vertigine, dopo settimane di solitudine e silenzio, li afferrò alla vista della moltitudine indaffarata e chiassosa che affollava l’accesso e le vie laterali. L’unico paragone possibile che Imong sarebbe stato in grado di offrire ad un eventuale interlocutore, era quello col Quartiere del Porto di Waterdeep: per la celebrazione della fine del Periodo dei Disordini, infatti, il ritorno degli dei alla corte di Lord Ao era inscenato da una popolare rappresentazione che coinvolgeva tutta la città. La calca era la stessa: migliaia di persone di ogni sorta e specie conosciuta nel Sottosuolo stavano lì, di fronte a loro, in un apparente stato di pacifica coesistenza. I kuo-toa rappresentavano ovviamente la maggioranza dei pellegrini, ma non mancavano salamandre, bugbear, hobgoblin e orchi, trogloditi, troll delle spelonche in catene in vesti di servitori, e perfino elfi scuri! La sicurezza del sito non peccava in organizzazione: ogni strada, specie quelle che circondavano una centralissima arena, era pattugliata da gruppetti di minacciosi e massicci kuo-toa, alti come se non più di Ebeadat. Controllavano con grandi occhi neri ogni direzione per prevenire disordini. Alcune di queste pattuglie erano armate con reti e bastoni che terminavano con un cappio o tenaglie di metallo, altre portavano pesanti tridenti dotati di punte affilate e mortali. Quello che però rendeva quello spazio unico nel suo genere erano l’illuminazione e l’arena.

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12 Hammer, 1362 DR – Un buon affare

«Un luogo decente, infine». Si trattava di un’affermazione sincera, non un semplice tentativo di distendere gli animi e allontanare la monotonia di altri giorni di cammino spesi nel crepuscolo. L’ampia caverna era ricoperta da uno strato di vegetazione rigogliosa, piccoli arbusti carichi di invitanti frutti oblunghi di colore gialloverde, che nulla avevano da invidiare ai frutteti di Highmoon. Luci calde, emanate da graziosi funghi puntinati, si specchiavano sulle pareti impreziosite da piriti e quarzi. Era una luce diversa da quella ipnotica e allucinogena nella quale avevano vagato fino ad allora. Klaus adocchiò un laghetto d’acqua limpida, carpe dai colori vivaci nuotavano placide al suo interno. Quella visione lo riportò ai giorni spesi a viaggiare tra Sembia e le Valli, agli ampi panorami, ai cieli tersi e alle rigogliose foreste, al giorno che aveva incontrato Halfgrimur a Ordulin. Posato lo scudo e levati elmo e guanti, immerse le mani nell’acqua fresca e si lavò il viso, scacciando la fatica della traversata. A due passi dagli spruzzi d’acqua prodotti dal cavaliere, Zeke si massaggiava l’attaccatura del naso. Qualcosa non tornava.

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1 Hammer, 1362 DR – Ultimo dell’anno con botti

Viaggiavano ormai da diverse settimane nel Sottosuolo. Lo stupore e la meraviglia per quello sconcertante mondo sotterraneo avevano ceduto il passo alla stanchezza, e alla monotonia, di un cammino logorante. La mancanza di luce aveva prosciugato ogni stilla di gioia, e le più innaturali propensioni si facevano strada nell’intimo, quali tic, manie e pensieri osceni. Klaus aveva iniziato a borbottare da solo, mentre Fafnir si isolava dal gruppo ogni volta se ne presentasse l’occasione. Discorrevano poco, anche durante i mesti riposi. A volte commentavano velocemente la qualità delle pietanze che Zeke proponeva, ma dopo aver assaporato ogni varietà di funghi, insetti, parassiti e pipistrelli il loro organismo si ribellava ad un trattamento tale, e pretendeva frutta e verdura. Per fortuna l’acqua non mancava, grazie alla caraffa dell’acqua eterna posseduta dal mirabariano. Quanto caro gli era divenuto quell’oggetto, che oltre a dissetarli permetteva a tutta la compagnia di lavarsi con acqua limpida e trasparente.

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29 Nightal, 1361 DR – Il fiume Svartjet

Fafnir si svegliò improvvisamente. La figura del capitano Bumblerose indugiava su di lui, porgendogli del cibo. Afferrò il piatto in metallo meccanicamente e ringraziò Zeke con un cenno. Ancora coleotteri e funghi, pensò. «Il prossimo turno toccherebbe a te, ma ti coprirò io. Non hai una bella cera…» gli disse il capitano, masticando sgraziatamente a bocca aperta. Il mezzelfo non poté fare a meno di notare la soddisfazione con la quale il dragone purpureo – o meglio bianco, come aveva ribattezzato il contingente ai suoi ordini nel Sottosuolo – si ingozzasse. Aveva sempre ritenuto che quel posto non si addicesse alle razze della Superficie. Invece Bumblerose vi si era adattato perfettamente e, anzi, forse aveva trovato una nuova casa, in grado di ospitare e contenere la sua duplice personalità. «Allora?» lo interrogò, «C’è qualche problema, perché non mangi? Poi si fredda…». «Certo» disse Fafnir mettendo alcuni funghi abbrustoliti in bocca. A voler essere equi il sapore non era da disprezzare: i funghi erano stati affettati e grigliati, quindi accompagnati ad una salsa rosa dal sapore lievemente acidulo e piccante.

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21 Nightal, 1361 DR – Il fuoco di Kappiyan

Rimasero silenziosi e indugiarono alcuni minuti di fronte all’entrata, attendendo che Imong tornasse visibile per avvisarli che stava per inoltrarsi nella caverna. L’apertura sembrava un mastodontico tubo digerente. Quarzi fumé e marroni riflettevano la luce dei licheni fluorescenti, donando al sito una patina ambrata e rilassante. Saltellando leggero Imong vi si addentrò. Non avrebbe saputo dire se dogana fosse il termine più appropriato per quel luogo. Gli ricordava, piuttosto, una grande piazza – il paragone che gli sovveniva era con piazza della Vergine a Waterdeep, nel Quartiere Mercantile, dove spesso si recava per fare la spesa – dalla quale si dipanavano una serie di altri ambienti e strade, disposti a raggera.

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