28 Hammer, 1362 DR – Casa Tormtor

«Il tempo passa veloce in tua compagnia.»
Forse quell’apprezzamento era il massimo che Stavros avrebbe mai ottenuto da un elfo scuro. Nudo, sotto le lenzuola di seta, osservava il suo amante rivestirsi «Te ne vai?».
«Lo sai.»
«So cosa?»
«Che Verdaeth non è contenta di sapermi con i N-Tel-Quess (ndr. I non elfi, in elfico)».
Già, la sorella maggiore del suo amante non lo apprezzava, e Beshaba (ndr. la dea della Sfortuna, sorella di Tymora) aveva voluto che fosse proprio lei la matrona della casata. Lo mise a fuoco meglio: Jhaamdath Tormtor aveva un viso da ragazzo perennemente accigliato, ammorbato com’era dai suoi doveri. Portava i capelli sciolti fino alle scapole; possedeva un fisico asciutto e la muscolatura flessuosa dei gatti, cosa che lo faceva apparire più alto della sua statura. Ma era stato lo sguardo di ghiaccio a conquistare Stavros. Come si poteva descrivere un essere come quello, dal portamento nobile e dallo sfrontato disprezzo per la vita? Eppure era proprio la spietatezza, quella capacità di distribuire tranquillamente la morte, che li accomunava. Come in un gioco, quel potere sulle altre creature viventi lo divertiva. Solo il contatto dei loro corpi riusciva a intorpidire l’istinto della caccia, dell’oltraggio e dell’eccesso.
«Togliamola di mezzo, allora.»
Jhaamdath lo squadrò senza espressione. Erano parole sufficienti per condannarlo a morte. Una sentenza immediata e senza appello. Lo stocco era lì, a pochi passi dal drow. Bastava un gesto veloce per trafiggerlo. «Parli troppo» l’elfo si avvicinò alla porta. Fece per aprirla, ma indugiò un attimo «Ah, quel bizzarro straniero che abbiamo conosciuto ieri notte» fu come un lampo, il succo di funghi l’avevano annebbiato a tal punto da rimuovere il ricordo del chiassoso umano incontrato nel ghetto degli artisti, «Dorme al piano di sotto. Puzza e russa come un troglodita. Occupatene tu. Quando torno non voglio più vederlo».

Jhaamdar Tormtor
Jhaamdar Tormtor

Una volta lavato e vestito, Stavros uscì dall’appartamento personale di Jhaamdath. Prese uno dei corridoi che collegavano le sale alla scalinata per il secondo piano. Villa Tormtor era un luogo incantevole e delittuoso: non si contavano gli oggetti d’arte osceni appesi alle pareti o le statue in pose stravaganti che lo adornavano. Un forte odore di incenso, bruciato da piccoli lumi che intervallavano il percorso, permeava l’abitazione. Non era sempre così; sospettò che ciò fosse dovuto alla festa delle cuciture che si era tenuta la notte precedente. Non aveva mai partecipato a quei banchetti di sangue, anche se il tiefling aveva lo stomaco forte preferiva evitare quei convegni sadici. Aprì una finestra. L’aria fresca che ne fluì gli fece passare per un attimo i cattivi pensieri. Rimirò la tenuta della casata, le ville circostanti e, in lontananza, i palazzi di Erelhei-Cinlu, oltre il fiume Pece. I ricordi riaffioravano dai fumi dell’alcol…
Erano stati al Palco d’Argento la sera prima, dove era in scena “Il talento di Graz’zt”, uno degli episodi più amati dell’epopea del principe dei demoni. Aveva visto Jhaamdath mischiarsi tra gli attori durante la rappresentazione e decapitare un paio di figuranti, per la gioia del pubblico. Poi si erano spostati nella sala da gioco e al loro tavolo si era presto aggiunto un umano dai modi spicci e risoluti. Quell’atteggiamento aveva fatto imbestialire gli elfi scuri presenti, specie quando Stirge – quello era il nome dell’umano – aveva iniziato a vincere ripetutamente, lasciando gran parte dei presenti senza più denaro. Ad un certo punto c’erano due vincitori al tavolo: Jhaamdath e l’umano. Se però Stirge si era limitato a raccogliere goffamente le vincite, Jhaamdath, anch’egli sbronzo, si era divertito a solleticare l’orgoglio di un giovane Kilsek. Il gioco e le minacce avevano presto lasciato spazio alle armi. Quevven Kilsek tuttavia non girava mai senza scorta e, presto, lui e Jhaamdath si erano trovati da soli ad affrontare gli scherani della seconda casata più potente della città. Si erano difesi bene, come belve messe con le spalle al muro, ma gli assalitori erano troppi. Poi era intervenuto Stirge, la sua lama li aveva salvati da una triste sorte. Quevven e i suoi avevano preferito desistere davanti all’abilità del guerriero, non senza giurare vendetta per l’oltraggio subito. Allontanatisi dal teatro, Jhaamdath aveva invitato Stirge a passare la notte a Villa Tormtor, come fossero gli amici di una vita, per poi – come spesso gli capitava – dimenticarsi ogni riconoscenza il giorno successivo.
Stavros si domandò che cosa ci facesse ancora lì. Prima che Verdaeth Tormtor avesse deciso che era ora di porre fine al vezzo del fratello, o che lo stesso Jhaamdath si stancasse di lui sarebbe stato meglio abbandonare la tenuta.
Tutti quei pensieri avevano occupato lo spazio che lo separava dalla camera dove era stato alloggiato l’umano. Bussò alla porta senza ricevere risposta. Bussò di nuovo. Ancora una volta non fu proferita alcuna risposta. Allora entrò «Devi andarte…».

Il letto era vuoto e disfatto, le lenzuola fredde.

Stirge se n’era andato.

(Sessione XIV parte quarta – 19 Maggio 2023)

Lascia un commento