Archivi categoria: CAP11 – Discesa nelle profondità della terra

28 Hammer, 1362 DR – Casa Tormtor

«Il tempo passa veloce in tua compagnia.»
Forse quell’apprezzamento era il massimo che Stavros avrebbe mai ottenuto da un elfo scuro. Nudo, sotto le lenzuola di seta, osservava il suo amante rivestirsi «Te ne vai?».
«Lo sai.»
«So cosa?»
«Che Verdaeth non è contenta di sapermi con i N-Tel-Quess (ndr. I non elfi, in elfico)».
Già, la sorella maggiore del suo amante non lo apprezzava, e Beshaba (ndr. la dea della Sfortuna, sorella di Tymora) aveva voluto che fosse proprio lei la matrona della casata. Lo mise a fuoco meglio: Jhaamdath Tormtor aveva un viso da ragazzo perennemente accigliato, ammorbato com’era dai suoi doveri. Portava i capelli sciolti fino alle scapole; possedeva un fisico asciutto e la muscolatura flessuosa dei gatti, cosa che lo faceva apparire più alto della sua statura. Ma era stato lo sguardo di ghiaccio a conquistare Stavros. Come si poteva descrivere un essere come quello, dal portamento nobile e dallo sfrontato disprezzo per la vita? Eppure era proprio la spietatezza, quella capacità di distribuire tranquillamente la morte, che li accomunava. Come in un gioco, quel potere sulle altre creature viventi lo divertiva. Solo il contatto dei loro corpi riusciva a intorpidire l’istinto della caccia, dell’oltraggio e dell’eccesso.
«Togliamola di mezzo, allora.»
Jhaamdath lo squadrò senza espressione. Erano parole sufficienti per condannarlo a morte. Una sentenza immediata e senza appello. Lo stocco era lì, a pochi passi dal drow. Bastava un gesto veloce per trafiggerlo. «Parli troppo» l’elfo si avvicinò alla porta. Fece per aprirla, ma indugiò un attimo «Ah, quel bizzarro straniero che abbiamo conosciuto ieri notte» fu come un lampo, il succo di funghi l’avevano annebbiato a tal punto da rimuovere il ricordo del chiassoso umano incontrato nel ghetto degli artisti, «Dorme al piano di sotto. Puzza e russa come un troglodita. Occupatene tu. Quando torno non voglio più vederlo».

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27 Hammer, 1362 DR – Erelhei Cinlu

La strada tagliava in due la valle. Tutt’attorno la campagna era punteggiata di fattorie fortificate, che a stento facevano capolino tra l’intricata vegetazione e i boschi di funghi. Di quando in quando incrociavano gruppi di drow a cavallo delle consuete lucertole giganti o carovane mercantili trainate da mastodontici lumaconi, che schiumavano la strada nello sforzo. I nobili li oltrepassavano, disinteressati allo loro presenza. Dopo le tante schermaglie intraprese contro i gli elfi scuri, era strano trovarseli a fianco senza dovere incrociare le armi. Prendevano atto dei cavalieri e delle loro scorte composte da servitù umanoide, e non sentivano il dovere di reagire se i mercanti colpivano con sottili giunchi le schiene degli schiavi, incatenati alla poderosa locomotiva invertebrata.
«Un nuovo carico di poveretti che sarà venduto al miglior offerente, e noi ce ne stiamo qui con le mani in mano. Quand’è che siamo cambiati?» chiese il cavaliere.
«Cambiati? No di certo, mio buon amico» disse il nano accigliato, «Attendo tempi migliori per fargliele pagare tutte in un colpo solo.»
«Non lo so. Alcuni di noi iniziano a trovare un senso nell’ordine delle cose, che hanno conosciuto da quando siamo in viaggio nel Sottosuolo.»
«Di che vai cianciando?»
«E dire che con l’età certe cose si dovrebbero vedere anche meglio, dormi a occhi aperti! Parlo di Halfgrimur e Dazaen, è come avessero trovato qui insospettabili radici.» Continua a leggere 27 Hammer, 1362 DR – Erelhei Cinlu

27 Hammer, 1362 DR – La Torre Nera

Dalle facciate di pietra, le cupe finestre della Torre Nera guardavano ai quattro punti cardinali. In essa si apriva un unico cancello, e sul suo parapetto le sentinelle montavano la guardia ininterrottamente. Ogni feritoia era piena di occhi sempre desti, sicché nessuno potesse deviare in direzione di Erelhei Cinlu senza subire il morso della fortezza. Persino da lontano, e nella luce tenue, era possibile scorgere il movimento di nere guardie sulla muraglia e delle sentinelle vestite con cotte di maglia scintillanti innanzi al cancello. All’improvviso si udirono squillare sfrontate trombe. Suonavano dalla sommità della torre, come un vaticinio di morte per qualsiasi trasgressore. Lontane risposte giungevano dagli avamposti più prossimi e, ancora più remote, distanti e acute, le note che dalle mura della città dei drow fendevano la valle, consegnandoli ad una sensazione di perenne vigilanza dei confini del reame.
I Cercatori si appropinquarono al cancello. Oltre esso un pesante portone rimaneva aperto. Era però impossibile vedere cosa li attendesse oltre, poiché una nebbia cangiante velava l’accesso.
Entrarono in qualità di schiavi e servitori di un nobile elfo di Cormanthor. Halfgrimur, in testa alla fila, sfoggiava orgogliosamente la sua altezza. Al fianco destro camminava il suo araldo, l’algido Dazaen. Veniva quindi Derinnil, seguita a un passo dal truce Stirge e da Imong, che al solito annotava gli appunti mentali necessari a scrivere nuovi capitoli del suo libro. C’erano quindi Fafnir e Klaus. Chiudevano Iskra, Sayarathy, Dirnal ed Ebeadat.
La guardia drow posizionata sulla sommità della torre li osservò oltrepassare l’arco e il cancello. Seguì i movimenti della compagnia finché possibile, prima che fossero inghiottiti dall’oscurità.

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27 Hammer, 1362 DR – Il peso delle certezze

«Eccoci, infine» disse Dazaen.
Halfgrimur lo guardò stupito: Dazaen sorrideva! Non sarebbe stata una notizia trovare una tale espressione sul volto di un bambino, ad una sagra tipica delle Valli. Lo era in quel frangente, nelle profondità del Sottosuolo.
«Che ci trovi di così divertente?»
«Sembra che dimentichi la mia capacità di vedere ciò che sarà. Io vivo nell’attesa costante che il divenire si concretizzi. Ciò che di più simile potete vivere voi sono i sogni o le ambizioni» il suo sguardo si perdeva nell’orizzonte, «Speri di giungere alla fine di questa storia per compiere la tua vendetta, non è vero?»
«Ormai non desidero altro.»
«Ecco, per te quello che è speranza, per me sono certezze. Certezze che svaniscono e si ricompongono, mentre constato come nel presente il gesto più stupido e insignificante possa cancellare un regno intero dalla storia del mondo. Certi giorni, scrutando ciò che sarebbe stato mentre camminavamo sul ciglio del baratro, vedevo la morte di uno o dell’altro… a volte la fine di tutti i Cercatori. Non è facile non avere sogni ma solo certezze, Halfgrimur. Tutti, per lo meno i mortali, sanno che presto o tardi giungerà la fine. Diverso è sapere come e quando.»
«Ma tu conosci quello che sarà, puoi evitare che il peggio accada.»

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17 Hammer, 1362 DR – Il mestiere del tombarolo

Il giorno in cui le tenebre della notte non appariranno più spaventose, quello sarà il giorno in cui il Signore delle Ossa – Myrkul – si presenterà al nostro cospetto. Allungherà la mano scheletrica e accarezzerà ciò che rimane delle spoglie mortali. Quindi ordinerà ai suoi servitori di sollevarle e indicherà la via per l’Ade. E le eterne ombre sembreranno un comodo guanciale, rispetto alla sofferenza mortale. I ricordi, quelli tuttavia sbiadiranno lentamente. Talvolta occorre il tempo di dieci vite a cancellare il volto dei genitori, degli amanti. Per i figli il processo è ancora più lento. Il ricordo rende ossessioni le creature che sono ancora in vita e così la disperazione può assalire le anime troppo legate agli affetti terreni. Sono quelle le anime più soggette alla Trama, disposte a tutto pur di tornare indietro. Risalgono fino al Piano Negativo, sfuggendo ai Guardiani. Da lì osservano i vivi con invidia. Incapaci di passare la barriera che divide la Vita dalla Morte, attendono la chiamata di qualche negromante illudendosi che un corpo disfatto rappresenti una seconda possibilità, col quale riparare agli errori commessi durante l’esistenza. Finiscono allora in catene ancora più penose, vincolati al giogo della volontà altrui. Così la disperazione ci rende schiavi.” – Maestro Kloi di Tyr.

Zeke pasteggiava tranquillamente vicino al focolare, l’elfa scura a pochi passi legata alla catena. Era una tipica scena di guerra: il conquistatore e il suo bottino. Stretto nel mantello di ossa, la posa del capitano dei dragoni bianchi aveva ben poco a che vedere con la marzialità di un addestramento militare: la barba lunga alla maniera dei barbari del Nord, la capigliatura disordinata e lo sguardo perso nel vuoto davano l’idea di una pacata trasandatezza. A ben vedere, assomigliava a un maturo mastino compiaciuto del proprio osso. Continua a leggere 17 Hammer, 1362 DR – Il mestiere del tombarolo

14 Hammer, 1362 DR – Grigliata fuori stagione

«Davvero sto bene, Imong? Non vorrei offendere il magnanimo Va-Guulgh e la sua ospitale gente» chiese Dirnal, osservando il piumaggio con le quali gli indaffarati kuo-toa gli stavano adornando elmo e armatura «Sono commosso e onorato di poter officiare assieme ai suoi sacerdoti la festa della dea. Noi nani, ammetto, non siamo così ospitali. Siamo partiti prevenuti, c’è molto da imparare da questa gente.»
«Non ti… preoccupare, stai benissimo. Non pensavo il fucsia ti donasse… tanto» Imong si era rifiutato di spiegare il vero ruolo che gli uomini pesce avevano riservato al suo amico. Conoscendo l’orgoglio del nano, era molto meglio proseguire con quella farsa. Se gli avesse rivelato che l’avevano truccato come un pagliaccio, e coperto di boa di piume di qualche variopinto fagiano sotterraneo, poiché toccava a lui divertire la platea, sarebbe sicuramente montato su tutte le furie. Quindi optò per l’inganno anche quando l’amico fu aggregato al corpo di ballo kuo-toa, se così poteva essere definito quell’accozzaglia di balenottere hippie «Ecco le sacre… sacerdotesse di Blibdoolpoolp!». Dazaen era incredulo alla definizione appena partorita dal tombarolo.

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12 Hammer, 1362 DR – Lost in translation

«Ammetto che nemmeno le mie capacità divinatorie sarebbero riuscite a prevedere tutto questo» Dazaen era basito, ma ancor più incuriosito – forse infastidito – dalla moltitudine di possibilità che il futuro riservava: una miriade di porte, porticine e pertugi, un’infinità di destini e variabili alle quali, temette, non vi fosse fine o, peggio, capo né coda. Fu il dubbio di un momento. Certo che c’era un modo per prevedere e ordinare quel caos! Una sfida ardua, ma possibile. L’errore stava nell’assunto, nell’origine della cogitazione: i suoi ragionamenti erano troppo logici e raziocinanti per essere traslati su esseri così basici e ottenebrati dalle emozioni e dall’istinto. Era comunque quello il metodo scientifico al quale si aggrappava nel momento della necessità, e bisognava tenerne conto. Dire che il divenire fosse in continuo movimento era un’affermazione lapalissiana: era sufficiente osservare la scena alla quale stava assistendo per realizzare come, e quanto, dovesse rivedere le proprie teorie. Del resto, come si poteva spiegare altrimenti il fatto che, ad un passo dal sostenere in prima persona – certo sarebbe venuto con lui anche Klaus, ma importava realmente? – la prova di purificazione della dea Blibdoolpoolp, il gruppo si fosse improvvisamente frantumato in due cordoni.

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 12 Hammer, 1362 DR – Corri Fafnir, corri!

Fafnir imboccò un ampio corridoio dell’ala est. Spronato da una voce nella mente – una delle tante che fin da bambino aveva accolto dentro di lui – avanzava impaziente: “Di qua, amico, presto… ihssss. No, non ti preoccupare, le guardie dei kuo-toa non possono vederti, sto schermando i loro occhi. Nessuno ti può vedere… ohssss. Sì, dritto, poi sinistra, non è la prima vasca che ci interessa, e nemmeno quella successiva. La terza!… ihsss. Ci sei quasi… ohsss. Bene. Non ti preoccupare, ci sono io con te…” A prenderlo per mano era il mind flayer. Da qualche tempo si era sostituito a Feniar, che a sua volta aveva preso il posto di Doresain. Era fortunato, il guerramago, c’era sempre qualcuno a coprirgli le spalle, a consigliarlo. Il padre non l’aveva forse amato quanto gli altri figli partoriti dalla legittima consorte, tuttavia il destino gli aveva riservato una moltitudine di padri putativi, che si erano alternati nella sua educazione. Il primo era stato Vangerdahast: il capo del suo ordine l’aveva contattato telepaticamente che era solo un bambino e l’aveva istruito sull’Arte, spiegandogli come in lui Mystra parlasse il linguaggio dei Magister.

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12 Hammer, 1362 DR – Adoro i piani ben riusciti!

Entrare nel santuario di Blibdoolpoolp fu come tuffarsi nell’acqua salata del Mare delle Stelle Cadute e nuotare in apnea scrutandone i fondali. Un senso di vertigine, dopo settimane di solitudine e silenzio, li afferrò alla vista della moltitudine indaffarata e chiassosa che affollava l’accesso e le vie laterali. L’unico paragone possibile che Imong sarebbe stato in grado di offrire ad un eventuale interlocutore, era quello col Quartiere del Porto di Waterdeep: per la celebrazione della fine del Periodo dei Disordini, infatti, il ritorno degli dei alla corte di Lord Ao era inscenato da una popolare rappresentazione che coinvolgeva tutta la città. La calca era la stessa: migliaia di persone di ogni sorta e specie conosciuta nel Sottosuolo stavano lì, di fronte a loro, in un apparente stato di pacifica coesistenza. I kuo-toa rappresentavano ovviamente la maggioranza dei pellegrini, ma non mancavano salamandre, bugbear, hobgoblin e orchi, trogloditi, troll delle spelonche in catene in vesti di servitori, e perfino elfi scuri! La sicurezza del sito non peccava in organizzazione: ogni strada, specie quelle che circondavano una centralissima arena, era pattugliata da gruppetti di minacciosi e massicci kuo-toa, alti come se non più di Ebeadat. Controllavano con grandi occhi neri ogni direzione per prevenire disordini. Alcune di queste pattuglie erano armate con reti e bastoni che terminavano con un cappio o tenaglie di metallo, altre portavano pesanti tridenti dotati di punte affilate e mortali. Quello che però rendeva quello spazio unico nel suo genere erano l’illuminazione e l’arena.

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12 Hammer, 1362 DR – Un buon affare

«Un luogo decente, infine». Si trattava di un’affermazione sincera, non un semplice tentativo di distendere gli animi e allontanare la monotonia di altri giorni di cammino spesi nel crepuscolo. L’ampia caverna era ricoperta da uno strato di vegetazione rigogliosa, piccoli arbusti carichi di invitanti frutti oblunghi di colore gialloverde, che nulla avevano da invidiare ai frutteti di Highmoon. Luci calde, emanate da graziosi funghi puntinati, si specchiavano sulle pareti impreziosite da piriti e quarzi. Era una luce diversa da quella ipnotica e allucinogena nella quale avevano vagato fino ad allora. Klaus adocchiò un laghetto d’acqua limpida, carpe dai colori vivaci nuotavano placide al suo interno. Quella visione lo riportò ai giorni spesi a viaggiare tra Sembia e le Valli, agli ampi panorami, ai cieli tersi e alle rigogliose foreste, al giorno che aveva incontrato Halfgrimur a Ordulin. Posato lo scudo e levati elmo e guanti, immerse le mani nell’acqua fresca e si lavò il viso, scacciando la fatica della traversata. A due passi dagli spruzzi d’acqua prodotti dal cavaliere, Zeke si massaggiava l’attaccatura del naso. Qualcosa non tornava.

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1 Hammer, 1362 DR – Ultimo dell’anno con botti

Viaggiavano ormai da diverse settimane nel Sottosuolo. Lo stupore e la meraviglia per quello sconcertante mondo sotterraneo avevano ceduto il passo alla stanchezza, e alla monotonia, di un cammino logorante. La mancanza di luce aveva prosciugato ogni stilla di gioia, e le più innaturali propensioni si facevano strada nell’intimo, quali tic, manie e pensieri osceni. Klaus aveva iniziato a borbottare da solo, mentre Fafnir si isolava dal gruppo ogni volta se ne presentasse l’occasione. Discorrevano poco, anche durante i mesti riposi. A volte commentavano velocemente la qualità delle pietanze che Zeke proponeva, ma dopo aver assaporato ogni varietà di funghi, insetti, parassiti e pipistrelli il loro organismo si ribellava ad un trattamento tale, e pretendeva frutta e verdura. Per fortuna l’acqua non mancava, grazie alla caraffa dell’acqua eterna posseduta dal mirabariano. Quanto caro gli era divenuto quell’oggetto, che oltre a dissetarli permetteva a tutta la compagnia di lavarsi con acqua limpida e trasparente.

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29 Nightal, 1361 DR – Il fiume Svartjet

Fafnir si svegliò improvvisamente. La figura del capitano Bumblerose indugiava su di lui, porgendogli del cibo. Afferrò il piatto in metallo meccanicamente e ringraziò Zeke con un cenno. Ancora coleotteri e funghi, pensò. «Il prossimo turno toccherebbe a te, ma ti coprirò io. Non hai una bella cera…» gli disse il capitano, masticando sgraziatamente a bocca aperta. Il mezzelfo non poté fare a meno di notare la soddisfazione con la quale il dragone purpureo – o meglio bianco, come aveva ribattezzato il contingente ai suoi ordini nel Sottosuolo – si ingozzasse. Aveva sempre ritenuto che quel posto non si addicesse alle razze della Superficie. Invece Bumblerose vi si era adattato perfettamente e, anzi, forse aveva trovato una nuova casa, in grado di ospitare e contenere la sua duplice personalità. «Allora?» lo interrogò, «C’è qualche problema, perché non mangi? Poi si fredda…». «Certo» disse Fafnir mettendo alcuni funghi abbrustoliti in bocca. A voler essere equi il sapore non era da disprezzare: i funghi erano stati affettati e grigliati, quindi accompagnati ad una salsa rosa dal sapore lievemente acidulo e piccante.

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21 Nightal, 1361 DR – Il fuoco di Kappiyan

Rimasero silenziosi e indugiarono alcuni minuti di fronte all’entrata, attendendo che Imong tornasse visibile per avvisarli che stava per inoltrarsi nella caverna. L’apertura sembrava un mastodontico tubo digerente. Quarzi fumé e marroni riflettevano la luce dei licheni fluorescenti, donando al sito una patina ambrata e rilassante. Saltellando leggero Imong vi si addentrò. Non avrebbe saputo dire se dogana fosse il termine più appropriato per quel luogo. Gli ricordava, piuttosto, una grande piazza – il paragone che gli sovveniva era con piazza della Vergine a Waterdeep, nel Quartiere Mercantile, dove spesso si recava per fare la spesa – dalla quale si dipanavano una serie di altri ambienti e strade, disposti a raggera.

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21 Nightal, 1361 DR – La dogana

«Che essere era quello?» chiese Ebeadat. «Lo ignoro» rispose Fafnir. Imong scrutò l’espressione del mezz’elfo, incerto se credere a quelle parole. Guadagnarono l’uscita guidati da Fafnir e si rimisero in marcia dopo un breve riposo. Zeke si dispose nuovamente in cima alla fila, accompagnato da Dirnal. Col braccio sinistro teneva sollevato lo scudo per dare maggiore profondità alla luce emessa dall’oggetto incantato. Nella mano destra faceva sfoggio di Arabel, la lama che lo serviva fin dalla sua prima battaglia, nelle Terre di Pietra. Li seguiva Imong, il viso corrucciato, al solito invisibile grazie al potere dell’anello. Dietro allo gnomo camminava Ebeadat, l’ascia appoggiata alla spalla come un comune boscaiolo che si appresta a far legna. Chiudevano il gruppo Dazaen, Iskra, Fafnir, Halfgrimur e quindi giungeva Klaus.

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18 Nightal, 1361 DR – La voce del Mind Flayer

Continuarono a camminare finché la strada divenne meno ampia e il terreno più scosceso. Allora deviarono nuovamente verso destra giungendo poco dopo in una gola stretta, bagnata da un vivace fonte sotterranea che sprizzava acqua alle pareti, creando una leggera foschia all’altezza delle ginocchia. «Da qui in avanti credo che… dovrò proseguire da solo» disse Imong, «Ho una strana sensazione…»

«Non questa volta» disse Halfgrimur, «È qualcosa di più di un presentimento, il tuo, e posso provarlo». L’elfo da sotto le vesti lasciò luccicare un antico medaglione di rame, inciso con un rituale magico, e lo mostrò ai compagni. «L’amuleto delle Paludi dei Trapassati!» lo riconobbe Imong. L’oggetto era circondato da un’intensa luce violacea ed era caldo al tatto: «Qualcuno sta scrutando l’area, ma non può vederci, né leggere la nostra mente finché lo indosserò. Uno stregone o qualche altra creatura dotata di poteri arcani risiede nella grotta» «A giudicare dall’energia magica che l’amuleto emana, non si tratta di un mago da strapazzo» disse Dirnal.

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