ll porto più grande di tutto il mare delle Stelle Cadute si dispiegava davanti ai miei occhi, mentre, affacciata al parapetto della nave, già guardavo speranzosa verso casa. Dopo tanti giorni e tanta solitudine (a cui non ero più abituata) nonché tanti rischi corsi per portare a termine questo viaggio, finalmente ero pronta a sbarcare. Sapevo già quale sarebbe stata la prossima mossa. Avevo bisogno dell’aiuto di un vecchio amico, qualcuno che mi permettesse di arrivare là dove volevo, senza essere scoperta. C’era un solo posto dove potevo dirigermi: il tempio di Mask.
Appena sbarcata, il mio primo pensiero era districarmi tra quelle strade che conoscevo così bene per recarmi al tempio, dove avrei potuto parlare con chi già in passato mi aveva aiutato a scappare, quando la mia stessa vita era stata in pericolo. Mi addentrai tra i templi della città (l’appellativo di “città dai mille templi” non mi era mai sembrato così calzante) e arrivai alla mia destinazione. Come sempre il tempio era immerso nell’oscurità, che come ricordai era complice di chi agisce per derubare. Mi si avvicinò un ometto, esile come un giunco e con un sorriso tanto grande quanto finto che mi chiese come poteva essermi di aiuto. Fu allora che mi eressi in tutta la mia fierezza per sembrare più sicura di quanto in realtà fossi e dissi: ”Ho bisogno di parlare con Phormin lo Scaltro, digli che lo cerca Paula, nipote di Suntya” e, così facendo, agitai un sacchetto che di certo non conteneva noccioline. Subito il piccolo giunco scomparve nell’oscurità e seguirono minuti, che a me sembrarono ore, in cui non facevo altro che avvertire sussurri nell’oscurità.