17 Hammer, 1362 DR – Il mestiere del tombarolo

Il giorno in cui le tenebre della notte non appariranno più spaventose, quello sarà il giorno in cui il Signore delle Ossa – Myrkul – si presenterà al nostro cospetto. Allungherà la mano scheletrica e accarezzerà ciò che rimane delle spoglie mortali. Quindi ordinerà ai suoi servitori di sollevarle e indicherà la via per l’Ade. E le eterne ombre sembreranno un comodo guanciale, rispetto alla sofferenza mortale. I ricordi, quelli tuttavia sbiadiranno lentamente. Talvolta occorre il tempo di dieci vite a cancellare il volto dei genitori, degli amanti. Per i figli il processo è ancora più lento. Il ricordo rende ossessioni le creature che sono ancora in vita e così la disperazione può assalire le anime troppo legate agli affetti terreni. Sono quelle le anime più soggette alla Trama, disposte a tutto pur di tornare indietro. Risalgono fino al Piano Negativo, sfuggendo ai Guardiani. Da lì osservano i vivi con invidia. Incapaci di passare la barriera che divide la Vita dalla Morte, attendono la chiamata di qualche negromante illudendosi che un corpo disfatto rappresenti una seconda possibilità, col quale riparare agli errori commessi durante l’esistenza. Finiscono allora in catene ancora più penose, vincolati al giogo della volontà altrui. Così la disperazione ci rende schiavi.” – Maestro Kloi di Tyr.

Zeke pasteggiava tranquillamente vicino al focolare, l’elfa scura a pochi passi legata alla catena. Era una tipica scena di guerra: il conquistatore e il suo bottino. Stretto nel mantello di ossa, la posa del capitano dei dragoni bianchi aveva ben poco a che vedere con la marzialità di un addestramento militare: la barba lunga alla maniera dei barbari del Nord, la capigliatura disordinata e lo sguardo perso nel vuoto davano l’idea di una pacata trasandatezza. A ben vedere, assomigliava a un maturo mastino compiaciuto del proprio osso.
«Zachary…» disse Imong, «Pensavo avessimo… deciso di liberare l’elfa…»
Il dragone ingurgitò un altro boccone.
«Dico… sul serio.»
«Da quando in qua sei diventato un liberatore di popoli?»
«…»
«Pensavo ti interessasse solo arricchire la tua collezione di anticaglie. Non è che ti è venuto il cuore tenero?»
«Potrebbe essere custodito in un filatterio… per quanto ne so.»
«E allora?»
«In queste condizioni…la drow non ci sarà d’aiuto. A sentire Fafnir… può essere la chiave… a Erelhei- Cinlu. Se non proferisce… parola cosa ce… ne facciamo?»
«Se il problema è quello, ho una mezza idea di come scioglierle la lingua» disse Halfgrimur accennando, in tetra maniera, al coltellaccio che utilizzava per pulire le carogne.
«La prigioniera non si tocca» sentenziò Zeke, masticando.
«Siamo giunti ad un crocicchio: la strada si divide… in più direzioni. Lei sa… quale sia più conveniente… percorrere.»
Il cormyriano recuperò un po’ di tabacco dallo zaino «Supponiamo di liberarla e che volontariamente ci scorti fino alla sua città» guardò i suoi compagni e accese la pipa «Presto o tardi deciderà come farci pagare tutta questa storia. È nella natura della sua razza.»
«Non sappiamo… nemmeno per quale motivo… fosse stata messa nelle segrete di Va-Guulgh.»
Halfgrimur si alzò in piedi «E credi che direbbe la verità? Sei per caso anche tu uno di quelli che vanno riabilitando questa feccia in giro per i Reami?»
«Ah, che sciocchezze! Come puoi anche solo… pensarlo, si tratta di multiculturalismo… da Quartiere Nobiliare e io, ti ricordo… risiedo nel ben più popolare… Quartiere Commerciale!»» sbottò mastro Ituttof, «Predico solo un po’… di buon senso. Abbiamo una… risorsa. Sfruttiamola, per Garl!»
«Chi può dire cosa sappia fare con le mani libere? Quali incantesimi e sortilegi?» disse l’elfo alto «Voglio arrivare con le mie gambe all’ultima tappa di questo viaggio, per poi riposare nell’ossario che ci attende.»
«Non condivido… la stessa tragica visione… dell’epilogo di questo viaggio.»
«Non tutti posseggono un anello dell’invisibilità, Imong» Zeke sciacquò la gavetta con un po’ dell’acqua della borraccia, «Puntiamo dritto per dritto una delle maggiori città del Sottosuolo, abitata da un’enclave di assassini. Se anche dovessimo accedervi, ecco il problema numero due: vogliamo impossessarci di un artefatto, anzi l’artefatto a cui tengono maggiormente. Pensiamo di sterminarli tutti e restare in piedi per raccontarlo, o credi che saremo in grado di sgusciare fuori dalle mura nell’oscurità, sorridenti e con la bisaccia piena?»
«Nessuno, a parte forse… Dazaen, può essere certo di cosa ci… attende a Erelhei- Cinlu. Ma sappiamo tutti che… l’elfo non ci direbbe mai ciò che ci… accadrà, dal momento che il futuro è… mutevole e bizzarro» Imong cercò con lo sguardo il sostegno del divinatore, ma quello in tutta risposta si ritirò ancor più nelle ombre «Per quanto mi riguarda… non avrei scommesso… una moneta di rame sul fatto che… saresti diventato il Signore di Undermilk. Io dico di giocarci con… giudizio… ogni carta che ci capiti di pescare… dal mazzo. Qualsiasi dovesse… essere l’epilogo, se la drow tenterà … la fuga… e Arabel mancare il suo cuore, non sfuggirà… alla mia balestra. Fosse l’ultima cosa… che faccio.»
Zachary guardò dubbioso lo gnomo.

***

Stretta e tortuosa, la via che Derinnil aveva scelto per loro costringeva i Cercatori a muoversi in fila indiana. Il primo della compagnia, come di consueto, era Imong. Scendevano ripidi scalini, martellati nella roccia da qualche svogliato scalpellino. Nella tenebra rischiarata dalla Lama Solare sorretta Klaus, lo gnomo si domandava se qualcuno intuisse il dubbio che lo attraversava. Cosa sarebbe accaduto se le scale si fossero sgretolate improvvisamente sotto ai suoi piedi, come nel più classico copione dei racconti elargiti al bancone del Portale Sbadigliante? Chissà le risate che si sarebbero fatti gli amici della taverna, tra una birra e l’altra: «Alla memoria di Imong, lo Sciocco! Salute fratelli!». Così avrebbero brindato. Poi qualcuno se ne sarebbe venuto fuori con un aneddoto divertente. Non una scena epica, come il tiro perfetto: il quadrello che aveva infilato tra le orbite di Capo Nosnra, per dire. Quel genere di storie non vanno per la maggiore, non fanno ridere. Ne avrebbero sicuramente scelta un’altra, una dove qualcuno del gruppo gli avesse gridato: “corri Imong, coooorri!”. Quelle sì che erano epiche! Lui che scapicollava per salvarsi da una slavina, tagliare all’ultimo momento il nodo che intrappolava un tesoro o uscire dalla Tomba degli Onori, coi rubini giganti rubati al demilich.
La scala però non crollò. Il cammino si tuffava in un’ampia caverna, uno squarcio simile ad un intestino buio nel ventre della terra. «Dove… ci hai portato?» sussurrò Imong all’elfa, controllando Zeke, il cui sguardo sapeva essere puntato su di loro. «Ti avevo avvisato» disse con voce profonda, sicura di sé «Nel caso aveste deciso di evitare il Cancello Nero, non sarebbe stata una passeggiata.» A volte le persone giuste si incontrano in momenti e luoghi sbagliati. Imong pensò che fosse quello il caso. Se avesse conosciuto l’elfa scura a Waterdeep, magari nei giorni prossimi a Solealto, quando la brezza marina spazza le nubi e le notti sono miti e lunghe, quando insomma l’amore sembra risuonare in ogni rione della città, avrebbero forse potuto essere anche qualcosa di più, non solo compagni di sventura costretti a calcare fronti e interessi opposti. Il suo occhio si dilungò sulle atletiche movenze da cerva della donna, le labbra carnose, la pelle di ametista e ancora una volta si chiese se Zeke non avesse ragione: aveva insistito a liberarla solo perché la riteneva la chiave a Erelhei-Cinlu o qualche altro scopo l’aveva mosso? Un brivido gli corse lungo la schiena.
«Perché ci siamo fermati?» l’impazienza, una delle caratteristiche principe di Halfgrimur, aveva portato il cormanthoriano a interrompere i suoi sogni ad occhi aperti «Che succede?»
«Odora… tu stesso.»
Halfgrimur fiutò l’aria. Il passaggio emanava un fetore orrendo che lo riportò al ricordo dei Capi dei Tumuli e all’epidemia di febbre traumatica di qualche anno prima, l’ultima volta che aveva veduto Arpino ed Ellios. Non era però il vomitevole odore di putrido dei prati dove Zachary aveva mostrato di cosa fosse capace Stirge, giustiziando senza pietà i soldati di Mistledale. Bensì si trattava di un immondo lezzo, come se indescrivibili cumuli di sordido lerciume fossero ammassati all’interno dell’oscurità. La spiegazione era lì a pochi metri: oltre l’entrata un ammasso confuso di carcasse ed esoscheletri, intrappolati in una rete mortale di spessi filamenti orditi in geometrie perfette, dava una chiara idea dei predatori che abitavano quei luoghi. «Ragni» constatò Halfgrimur. Olar sfavillò così repentinamente nelle sue mani che d’istinto Derinnil fece un passo indietro, pronta a difendersi. «Non è per te, donna, stai tranquilla» disse l’elfo.

La tana dei ragni giganti
La tana dei ragni giganti

Il mestiere del tombarolo è questo: un susseguirsi di avanscoperte e perlustrazioni. Richiede la giusta miscela di follia e razionalità, oltre allo sprezzo del pericolo. La prima lezione che si apprende – a patto di rimanere vivi – è che spesso si trova ciò che si va cercando. L’atmosfera era immobile, stagnante, greve, ogni rumore sordo. Osservate da vicino le carcasse, Imong si domandò da dove avessero attaccato gli aracnidi. La caverna appariva infestata da centinaia di ragnatele, filamenti spessi come le dita di un bambino. Giudicò impossibile – se non per lui, sicuramente per gli altri, fatta forse eccezione per Halfgrimur ed Ebeadat – attraversarla senza fare scattare quell’allarme silenzioso. Alzò lo sguardo. Verso la sommità – a circa venti metri da terra – le pareti si avvicinavano arrotondandosi. La roccia mostrava una miriade di cavità e anfratti che si aprivano nella pietra calcarea, come un primordiale colino. La seconda lezione – sempre che assimilata la prima, saggiamente non si fossero rassegnate le dimissioni per un impiego da fornaio o carpentiere – dice di non perdere mai la concentrazione e individuare immediatamente una via di fuga, o per lo meno un riparo. Lottando contro la nausea e l’inquietudine, notò sul lato opposto l’uscita: si distingueva poiché era un pertugio appena meno buio. Era sbarrata da diversi muri filamentosi. Calcolò che per raggiungerla non sarebbe bastato uno dei suoi famosi scatti. Preparò la spada. Si guardò alle spalle: i Cercatori erano a pochi passi. Era una distanza sufficiente a dividerli da un pericolo noto e imminente, per il quale il suo ruolo nel gruppo prevedeva di fungere da esca. Comandò all’anello di renderlo invisibile. Dubitava che ciò avrebbe ingannato i sensi dei ragni, ma era comunque una precauzione necessaria, casomai qualche altro tipo di mostruosità abitasse quelle profondità. Avanzò con cautela, cercando di guadagnare un po’ di terreno. Un passo, due passi, otto passi… quasi immediatamente incontrò una nuova difficoltà: un piccolo fossato divideva l’ingresso dal resto della caverna. Si fermò appena in tempo per non inciampare. Era una banale fenditura nella roccia, e per scavalcarla sarebbe bastato un passo appena un po’ più lungo, ma la fretta e l’oscurità erano nemici infidi e un avventato esploratore sarebbe facilmente finito gambe all’aria. La terza lezione è la cautela: anche quando pensi già di sapere come stanno le cose, il destino riserva spesso una sorpresa. Ecco, Imong non rispettò questa regola e infranse anche la quarta che raccomanda di pensare prima a sé stessi, piuttosto che agli altri. Tolse l’anello e si affrettò a segnalare il pericolo ai Cercatori. Fu in quel momento che udì sopra la sua testa orribili rumori raccapriccianti sfregiare l’apparente calma: gorgoglii, borbottii e soffi simili a quelli emessi dalle pentole dimenticate sul fuoco acceso. Si girò bruscamente. All’inizio non vide nulla, ma poi dall’alto le ombre di decine di corpi ovali e gonfi dalle molteplici zampe divennero visibili: erano i ragni che si calavano dalle loro tane nella roccia per farne un boccone. Sentì la puzza di morte, un odore effimero e dolciastro, avvilupparlo come una nube. Gli aracnidi si avvinghiarono alle pareti e dagli orifizi produssero la tela assassina che avrebbe dovuto bloccarlo. Per fortuna Imong rispettò almeno la quinta regola che postula così: l’unico modo per uscir vivi da una situazione disperata è quello di adottare una soluzione controintuitiva. Istintivamente brandì un violento colpo alla ragnatela che aveva di fronte: i filamenti si spezzarono, rimbalzarono, si arrotolarono, per poi penzolare giù lasciando un’ampia fessura. Ne approfittò: con un balzo l’attraversò e corse verso il centro della caverna, andando incontro al pericolo. Fu la sua salvezza poiché gran parte dei filamenti appiccicosi erano diretti alle sue spalle, il luogo dove i ragni pensavano lo gnomo avrebbe cercato di riparare.
La minaccia era visibile e scoperta, Halfgrimur non chiedeva niente di più. Raggiunse la posizione lasciata dal compagno con l’arco in una mano e tre frecce nell’altra. Scoccò i dardi. Una freccia sfiorò appena una ragnatela e la sostanza appiccicosa che colava da essa ne deviò la traiettoria, ma due andarono a segno e forarono i ventri dei rivoltanti insetti, facendoli crollare a terra. Zeke e Klaus completarono il lavoro: Arabel tranciò tre gambe ad un ragno, Balisarda squarciò il ventre dell’altro. Anche Ebeadat era scattato. Con un movimento circolare del braccio scagliò l’accetta falciando un grosso ragno prossimo a mastro Iuttof e lo finì con un colpo di tridente. «Presto, presto!» gridò Imong riprendendo a correre verso l’uscita. I ragni sciamavano giù dalle pareti, scontrandosi e cadendo a terra. Erano troppi. I Cercatori ne mietevano a decine senza riuscire a creare quel passaggio che gli avrebbe permesso di raggiungere l’uscita. Poi un lampo di luce azzurra illuminò la caverna, seguito da uno scoppio fragoroso. Decine di aracnidi si muovevano impazziti, cercando di spegnere le fiamme che ne consumavano le carni. Frinivano come cicale a primavera, era uno spettacolo angosciante. La mano di Eskra tremava ancora per lo sforzo, Dirnal e Sayarathy la sorressero. «Di quaaa!» gridò Ebeadat, il primo ad aver raggiunto Imong, che aveva liberato la via.
Uno dopo l’altro sfilarono tra le carcasse, mentre i fuochi che consumavano i corpi dei ragni proiettavano nuove ombre alle pareti, in uno spazio che ora sembrava angusto. «L’elfa! Dov’è l’elfa?» andava dicendo Zachary preoccupato per il suo bottino. Derinnil uscì dall’oscurità e comparve proprio di fronte a lui «Non ti dare pena per me» lo rassicurò con una smorfia. «Avanti!» il dragone la strattonò per un braccio trascinandola nella fila tra lui e Fafnir. Klaus raccolse tutto il fiato dei propri polmoni per urlare «Guardatevi le spalle!». Ragni vivi e feriti si lasciavano cadere dalla sommità della caverna, in un ultimo tentativo di ostruire il passaggio. O era il terrore per l’arrivo di qualcosa di più antico e mortale a suscitare quella reazione di incontrollabile follia? Klaus sembrò paralizzarsi alla vista di un’ombra ancora più malvagia e ributtante. Da una crepa nella parete una mostruosità di indicibile malvagità faceva capolino: avrebbe potuto essere descritto come un ragno, ma il suo corpo era mostruosamente più grande, deformato e bitorzoluto. Nella pelle chitinosa, tra la folta peluria, erano visibili i resti dei pasti e delle vittime, le loro espressioni contorte, stravolte dalla paura e dal dolore. Il cavaliere sentì la mano tremare, Balisarda sembrò sfuggirgli. Non gli era mai capitato, ma presto o tardi – così si racconta – viene il giorno nel quale anche un veterano vacilla. Quello era il suo giorno. Le gambe sembravano essersi mutate in pietra, nascosta dall’elmo la testa pulsava come riempita d’acqua calda. Provò a ribellarsi, ma il corpo non rispondeva. I Cercatori lo sopravanzarono: forse non si rendevano conto di ciò che gli accadeva?
L’orrore si muoveva lento come se ogni passo gli causasse dolore alle giunture usurate. Veniva per lui, poteva sentirlo. La vista si oscurò. «Di qua, ho detto, per Talos!» disse Ebeadat. Il barbaro sollevò Klaus ponendoselo in spalla. Liberando la via con una pedata, corse ad ampie falcate verso la luce emanata dalla scudo di Zeke e, ultimo dei Cercatori, imboccò l’uscita lasciandosi anche quel destino dietro di sé.

(Sessione XIV – 21 Aprile 2023)

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