30 Tarsakh, 1368 DR – La fabbrica

V’era una grande energia nel movimento dei corpi dediti al lavoro: la furia dei magli, l’odore dei metalli, il rosso delle fiamme e delle braci che lanciavano riflessi sulle pareti di pietra, persino l’ardore del sopruso. A suo modo era una visione affascinante. Sul cortile di pietra si muovevano funi e carrucole; lamiere, trattenute da tenaci pinze, erano colpite da pesanti magli e trasformate in stampi. Gru dotate di pale meccaniche caricavano il materiale – presumibilmente il ferro sottratto dagli uomini di Luskan durante le loro razzie – e lo disponevano in carrelli arrugginiti dal tempo. Da lì finiva negli stampi e in un’immensa fornace, per essere plasmato in lingotti più comodi al trasporto. Le tozze sentinelle, duergar delle profondità, dirigevano i lavori, bestemmiando maldicenze all’indirizzo degli schiavi. Consonanti che graffiavano e fiaccavano come pugni la resistenza degli operai. Lo gnomo afferrava gran parte delle crude parole sputate sugli uomini, ma non le espressioni più torbide che gli irosi carcerieri si rivolgevano l’un l’altro.

Imong si spostò dal foro praticato tra i vimini intrecciati che caratterizzavano la montatura alta della cesta, dove era rannicchiato. Aveva visto abbastanza. Prossimo al termine della corsa, nascose la lama sguainata sotto al mantello – un riflesso condizionato, nonostante l’invisibilità dell’anello già lo celasse. Si preparò al salto. Il duergar addetto allo scarico dei materiali tirò la leva, facendo scricchiolare i giunti e spalancare la base sferica della cesta. Lo gnomo si trovò dentro al carrello in un attimo, ma fece in tempo a cogliere gli occhi sgranati del nano. Non era lo stupore dato dalla mancata fuoriuscita di materiale – una possibile disattenzione della squadra dall’altro lato della cittadella – no, l’aveva visto! Era la conferma di quanto Kappiyan gli aveva insegnato durante le noiosissime lezioni di ecologia: i duergar sono immuni a molti incantesimi, incluso quello dell’invisibilità. Mastro Ituttof non perse tempo a pensare. Menò un rapido fendente orizzontale alla giugulare dell’inserviente e ribaltò il cadavere nel carrello che l’ospitava. Tolse l’anello, a quel punto conveniva che anche i suoi compagni – appena fossero giunti – avessero potuto vederlo. Sgattaiolò fuori rapido e si nascose sul retro del carrello. Alcuni schiavi, addetti alla ruota che trasmetteva il movimento alla funivia, si accorsero della sua presenza.


Imong fece loro cenno di tacere. Se avesse potuto li avrebbe incitati, perché profondessero ancora più forza e energia nel lavoro, così che il gruppo dei Cercatori si riunisse alla svelta. Guardò in alto, le ceste che portavano Ebeadat e Aukan erano ormai prossime.

Dall’alto Ebeadat scorse il compagno rannicchiato. Non attese nemmeno di giungere a destinazione. Spiccò un balzo e frenò la caduta su di un duergar ignaro. Schiacciato dal peso del barbaro il nano prese ad annaspare come un pesce fuori dall’acqua, Ebeadat lo zittì con un colpo d’ascia. Attorno a sé fiutava la paura degli animali braccati. Poteva anche essere solo contro cento avversari, ma riconosceva il timore della morte negli occhi del nemico. I compagni del duergar abbattuto non provarono nemmeno a reagire. Urlarono con tutto il fiato che avevano in corpo, nell’intento di mettere in allarme il resto del cortile. Riuscirono solo in parte a raggiungere lo scopo, poiché rumori della fabbrica coprivano le roche voci in lontananza. Al cacciatore bastarono pochi passi per essergli addosso e trafiggerne un paio con il tridente. Vedendo altri commilitoni cadere in pochi attimi, gli schiavisti seguirono l’istinto. I principali poteri dei nani delle profondità sono la capacità di rimodulare le proprie dimensioni, anche triplicandole per un breve periodo di tempo, e quella di lanciare su sé stessi la magia dell’invisibilità. Prima che potesse cogliere un’altra vita, il ruathymviano si trovò senza altri obiettivi: i figli di Laduguer erano scomparsi alla sua vista. Corse allora alla ruota degli schiavi, ancora pochi giri e anche Aukan avrebbe potuto aiutarlo nella sortita. Mentre si avvicinava a larghe falcate, percepì un’innaturale spostamento d’aria. Si piegò su sé stesso e rotolò sulla spalla, allargando al contempo il braccio opposto. Impattò i piedi di un nano posizionato accanto a lui. Il duergar colpì il terreno sgraziatamente e riapparve. Era grande quasi quanto un troll, la barba ispida e nera lo faceva sembrare un mangiafuoco cattivo. Ebeadat, ancora a terra, lo colpì con un violento pugno alla tempia, tramortendolo.

Fabbrica nanica
La fabbrica dei duergar



Imong uscì dal suo nascondiglio, anche lui intenzionato a difendere gli schiavi adibiti alla ruota. Gran parte degli schiavisti erano ancora ignari della loro presenza. Non sarebbe stato così ancora per molto. Una volta non avevo l’anello – pensò – e comunque non era facile vedermi; vediamo se sono ancora in grado di mettere in pratica quello che mi insegnò il vecchio Ottubaraf Ituttof. Chinato in avanti, saltellò tra le merci, approfittando della statura minuta e della copertura che casse e carrelli fornivano. Fu presto alle spalle del nano adibito alla guardia della ruota. Vicino a lui pendeva una fune alla sommità della quale stavano delle campane: era lo strumento che dava l’ordine di marciare o fermarsi ai lavoratori della ruota.

Quando sei prossimo, Imong, metti un passo in fila all’altro, rapido come quando danzi, e colpisci con mano ferma. Un attimo solo, diceva Ottubaraf, e il tuo lavoro sarà terminato.

Si protese in avanti e lasciò andare la stoccata. Trafisse la guardia; in quel momento, dal nulla, si materializzò di fronte a lui un nano di dimensioni stupefacenti. Vestiva un’armatura di maglia nera, di foggia regale e stringeva tra le mani una mazza istoriata con rune sacre. Lo gnomo fece appena in tempo ad abbassare la testa per evitare la bordata, ma il duergar era un combattente di lungo corso: si chiamava Niglot ed era un sacerdote di Deep Duerra; aveva un lignaggio familiare degno di un re che poteva far risalire a Barbadottone e all’Unico Clan. Il sacerdote completò la manovra ruotando il manico dell’arma – che all’altra estremità terminava con una lama – e lo ferì ad una spalla. Non ci fu tempo per prepararsi all’assalto successivo. La mazza stava per fracassargli lo sterno, quando uno scudo di luce assorbì la botta. «Sono qui» disse Vagamonti dietro di lui, «Gestisco io, il bestione.»

Aukan roteò lo spadone; la punta si mosse repentina e graffiò la corazza di Niglot. Il nano delle profondità balbettò una maledizione e si dileguò, lasciando alle guardie del corpo – apparse alle spalle di Vagamonti – il compito di replicare all’affronto. Lo scudo animato, comandato dal riflesso del goliath, parò il primo colpo. Aukan rispose all’attacco e con lo spadone tranciò le braccia dell’assalitore. Non riuscì però ad anticipare il secondo avversario, che gli menò col martello alle costole. Il goliath barcollò, ma non cadde. Il duergar realizzò in quel momento che le voci sulla razza di pietra non erano leggende da osteria. Non avrebbe però avuto occasione di confermarle lui stesso, poiché Aukan prima riguadagnò la distanza piazzandogli una pedata al petto e quindi lo decapitò, ruggendo il suo dolore.
Finalmente giunsero anche Fafnir, Dazaen e Dirnal. Dall’alto vedevano la battaglia infuriare. Ormai tutto il cortile era stato allarmato: ogni forza disponibile era impiegata a debellare la minaccia dei tre Cercatori. Usando una tattica da guerriglia, i duergar scomparivano e apparivano nelle vicinanze dei loro compagni per attaccarli e poi fuggire di nuovo. La resistenza era strenua, ma il numero dei nani soverchiante; a decine accorrevano dalle porte laterali per combattere: Aukan ed Ebeadat erano allo stremo.

L’elfo grigio, che tra i suoi numerosi poteri aveva quello di vedere l’invisibile, indicò un punto al guerramago. Fafnir agì di conseguenza. Pronunciò l’incantesimo del volo e si lanciò dalla cesta, planando sul campo di battaglia. Lì pronunciò le parole dell’incantesimo che più gli era avvezzo: si udì uno scoppio, quindi una nube di fuoco arse viva un’intera squadra di nani, intenta a recuperare le armi. «Ora le vie d’accesso» disse freddamente Dazaen. I suoi occhi di ghiaccio avevano individuato le aree dalle quali arrivavano i rinforzi del nemico. Ordinò alla pietra di plasmarsi e sigillò le entrate. Concluso l’incantamento si lasciò andare anch’egli sul cortile, atterrando leggero come una piuma.

E tu, che fai? Ti godi il panorama?

«Stupido martello, ti sei svegliato? Vuoi che mi sfracelli, forse?» ringhiò Dirnal strabuzzando gli occhi, almeno dieci metri lo separavano da terra. Si mise a cavalcioni della cesta, pronto a saltar fuori appena fosse stato possibile. Alcuni duergar, riconoscendo un nano delle montagne tra i nemici, lo presero di mira. Puntarono le balestre e spararono numerosi quadrelli in sua direzione. Gran parte lo mancarono, altri furono fermati dallo scudo. Se i dardi non poterono ferirlo, ci pensò la lingua biforcuta degli odiati cugini. Ogni più bieco improperio e insulto formulabile nell’antica lingua di Moradin venne pronunciato al suo indirizzo. Il Venerabile prete, non potendo competere a voce, rispose a gestacci. Il limite fu superato quando udì trascinare in quella tenzone anche i suoi avi e persino la madre e la sorella, che per altro non aveva. Toccato nell’onore, paonazzo in volto per la rabbia, quasi perse l’equilibrio agitando Whelm in loro direzione: «Aspettatemi lì che scendo e facciamo i conti, marmaglia!»

Non c’è razza più permalosa e rancorosa di quella nanica. Tra i nani, quelli di montagna hanno il primato in tali difetti caratteriali, e tra quelli di montagna coloro che abitano oltre la Frontiera Selvaggia sono ritenuti – a ragione – i peggiori in tal senso. I duergar che avevano spernacchiato il mirabariano avrebbero dovuto aver ben chiaro queste premesse e non rimanere stupiti quando Dirnal si buttò a bomba in mezzo a loro, azione che avrebbe potuto essere giudicata incauta o al limite praticabile da un nano di fosso. Il Venerabile messo di Clangeddin si rialzò dalla caduta con tutta la signorilità e grazia che natura gli aveva concesso – poca a dire il vero – e apostrofò i duergar che avevano osato offenderlo: «Adesso, se avete il coraggio, ripetetemi chi avrebbe la mamma e la sorella che puzzano di troll?!» Non ci fu un gran ragionare, ma l’inizio di una zuffa selvaggia, una vera rissa da osteria fatta di pugni, calci e morsi, indegna a vedersi per qualsiasi schermidore, che lasciò con un palmo di naso anche Ebeadat, che pure era avvezzo a certi stili di combattimento.

I duergar furono soverchiati dai poteri dei due maghi in pochi minuti. I loro ranghi si sgretolarono sotto tempeste di fulmini e le scie di fuoco. Prima che il massacro fosse completo, accettarono di arrendersi. Whelm fu d’accordo nel risparmiare i vinti. L’artefatto, nel momento della forgiatura, era stato incantato per proteggere l’intera razza nanica dalle angherie dei giganti, ciò comprendeva i nani delle profondità. Dissuase Dirnal dal prolungare la battaglia, facendo svanire la collera dal suo animo.

Parla con i tuoi fratelli e scopri dove si nasconde il globo di ferro!

La voce del martello rimbombò nella testa del Venerabile messo di Clangeddin: i duergar fratelli? Nonostante quelle parole gli paressero lontane dal suo sentire, nella mente si fece spazio a un pensiero più razionale.

Si avvicinò ai soldati che avevano lasciato le armi a terra in segno di resa.

«Questi cani non parlano» Ebeadat era coperto dal sangue della battaglia.

«Me la vedo io» Dirnal si sentiva conciliante e disponibile ad un confronto pacato con i duergar.

«Sei… strano, sembri… intontito» disse Imong.

«Sto bene, devo parlare con i miei consanguinei.»

Un’espressione preoccupata apparve sul viso di mastro Ituttof. Kappiyan – conoscendo l’amore sconfinato per gli oggetti magici dello gnomo – gli aveva tenuto un intero corso sugli effetti indesiderati degli artefatti sulla mente dei mortali. Per quell’esame aveva preteso che andasse nel suo laboratorio e, dopo aver cercato di cavargli i concetti basilari dei quattro tomi che gli erano stati assegnati, vedendo che non aveva studiato abbastanza, l’aveva bacchettato in maniera severa sulla testa: «Male, male, signor Ituttof! Non le insegnerò più nessun incantesimo fino a quando non mi dimostrerà di aver appreso le fondamenta della materia. La magia non è certo una cosa per fannulloni e ciarlatani! È un attimo finire per sbaglio nel Piano Etereo, tramutarsi in un rospo o divenire schiavi di un oggetto magico. Se lo ricordi!». Kappiyan aveva persino proibito a Shalara di fargli visita a casa Ituttof. Quella punizione fino a quando non si fosse rimesso con i piedi sotto alla scrivania e la testa china sui libri. Come quasi sempre capita, il maestro aveva avuto ragione a spronare l’allievo; grazie alla consapevolezza maturata durante quelle letture, negli anni a venire, lo gnomo aveva gestito in maniera corretta diverse situazioni molto problematiche. Ora, guardando Dirnal, si chiese quanto a lungo il mirabariano si fosse accompagnato a Whelm. L’aveva mai visto senza quella ingombrante presenza? La risposta era no. Aveva dunque solo una versione inquinata del vecchio trombone, col quale si accompagnava da anni nelle peggiori spelonche di Faerun? Mise tutti quei dubbi da parte, non era quello il momento di parlare all’amico. Era però un’incombenza che, presto o tardi, avrebbe dovuto espletare.

(Sessione VI – 17 Dicembre 2024)

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